L’uomo è un animale cerimoniale-Wittgenstein

Qual è il motivo per cui una tribù indigena mette in scena rituali magici? Perché sant’Agostino prega? Secondo Wittgenstein, perché questi sono gesti in sé densi di significato, che esprimono desideri, speranze, paure.

Fra le figure intellettuali più controverse del XX secolo, Ludwig Wittgenstein (Vienna, 26 aprile 1889 – Cambridge, 29 aprile 1951) non fu mai un accademico in senso classico. Aveva una concezione policentrica della vita e una propensione naturale a osservare qualsiasi fenomeno umano senza pregiudizi. Così il maestro Bertrand Russell descriveva l’allievo Wittgenstein: «Il più perfetto esempio di genio che abbia mai conosciuto: appassionato, profondo, intenso e dominante».

In effetti, quella dell’austriaco fu una vita segnata da vicende intensissime, opinioni rivoluzionarie, estrema libertà di pensiero: s’interessò a discipline molto diverse fra loro, saltellando da un lavoro a un altro e mettendo in pratica stili di vita decisamente originali: dalle esperienze universitarie a Cambridge all’isolamento in un eremo scandinavo costruito da sé, dall’insegnamento nelle scuole d’infanzia al giardinaggio.

Nel piccolo libro Note sul “Ramo d’oro” di Frazer lo sguardo obliquo di Wittgenstein ribalta i termini di una questione importante. Per Frazer, antropologo scozzese, magia, culture primitive, pratiche rituali antiche rappresentano sostanzialmente degli errori: l’evoluzione della scienza moderna occidentale ha mostrato la loro fallacia una volta per tutte. Il concetto di “primitività” equivale in sostanza a quello di “ignoranza”.

Ma Wittgenstein commenta:

«Il modo in cui Frazer rappresenta le concezioni magiche e religiose degli uomini è insoddisfacente perché le fa apparire come errori. Allora Agostino era in errore, quando in ogni pagina delle Confessioni invoca Dio? Ma – si può dire – se non errava Agostino, errava però il santo buddista, o qualunque altro, la cui religione esprimesse concezioni affatto diverse. Nessuno di essi invece sbagliava, se non quando enunciava una teoria».

Scienza e verità, a questo livello, non c’entrano: prima della parola e della logica, infatti, troviamo l’azione. È anzitutto mediante essa che l’uomo si relaziona al mondo, cercando di modificarlo e d’influenzarlo.

La conclusione di Wittgenstein è che siamo anzitutto animali cerimoniali.

«Credo che l’impresa di dare una spiegazione sia sbagliata già per il semplice motivo che basta comporre correttamente quel che si sa, senza aggiungervi altro, perché subito si produca da sé quel senso di soddisfazione che si ricerca mediante la spiegazione. Qui si può solo descrivere e dire: così è la vita umana.»

Usando una metafora, è inutile tentare di spiegare il motivo per cui, preso in un momento di rabbia, abbia battuto i pugni sul tavolo: non si troverà nessuna verità scientifico-razionale. Al contrario, seguendo Wittgenstein, si può dire che lo abbia fatto a mo’ di rito, come a voler esorcizzare, spingere lontano da me uno stato d’animo tutto interiore e, in questo caso, fastidioso. In quel momento, forse, non ho agito molto diversamente da uno stregone o da uno specialista del voodoo. Guardando alle pratiche di culto, i primitivi le hanno messe in atto per gli stessi nostri motivi, e non perché possedevano un’immagine distorta delle leggi scientifiche che governano il mondo. Anzi.

«Se mettessero per iscritto la loro conoscenza della natura, essa non si distinguerebbe in modo fondamentale dalla nostra.»

I rituali, le religioni, la magia hanno sempre assolto la stessa funzione, indipendentemente dal grado di sviluppo di una civiltà. Che si parli di antichi sacerdoti egizi o dell’avanzatissima comunità scientifica statunitense, la visione del mondo di entrambi verrà espressa anche attraverso atti cerimoniali che li accomunano più di quanto non si creda.

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