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Dal marketing umanistico al marketing post umanistico
Lavoriamo per dare al cliente quello che vuole. E qualcosa in più. Il lavoro di comunicazione è legato a obiettivi pratici e deve portare benefici che ne giustifichino il costo. Eppure, oltre all’obiettivo specifico e concreto di un atto comunicativo (che può essere vendere, informare, spiegare, convincere, ...) è altrettanto necessario comunicare la proposta di valore complessiva dell’impresa, la sua identità, i suoi segni distintivi. Per arricchire e consolidare la relazione con i destinatari.
A volte queste due prospettive sono divergenti: tenerle insieme è nostro compito. Da tempo il nostro modo di lavorare è umanistico, per vocazione e storia. La comunicazione (anche quella commerciale) contribuisce a creare rappresentazioni del mondo che influenzano la vita delle persone. E noi vogliamo che il nostro lavoro faccia sentir bene le persone: le informi, le intrattenga, faciliti l’apertura di conversazioni interessanti. Come diceva Philip Kotler nel 2017, “Nel marketing umanistico ci si relaziona con i clienti in quanto esseri umani completi, con una mente, un cuore e uno spirito. Non ci si limita a soddisfare le esigenze funzionali ed emotive dei clienti, ma si risponde anche alle loro ansie e desideri latenti.” Come sempre le concettualizzazioni di Kotler sono utili, ma forse, più che un approccio collocato nel tempo, possiamo pensare il marketing umanistico come un orientamento da sempre presente nella buona comunicazione. È umanistica la pubblicità di Bill Bernbach, per esempio, e siamo negli anni ‘50. È umanistica certa buona creatività italiana anni ‘80. E oggi sono umanistiche tutte quelle comunicazioni che guardano al mercato non come un territorio da colonizzare ma come una piazza su cui fare scambi che rispettano le persone e i contesti.
Ma questo oggi non basta più: serve una sensibilità diversa, che possiamo chiamare post-umanistica. Nuovi immaginari e nuove sensibilità creano identità dinamiche (identità nomadi, come le chiama la filosofa Rosi Braidotti) che contengono al proprio interno trasformazioni e differenze. La monolitica identità tradizionalmente incarnata dall’uomo vitruviano è il passato. E nuove rappresentazioni vanno dosate caso per caso, in una prospettiva di incertezza e orientamento ai diversi contesti.

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